L’export italiano sotto attacco: dalla finocchiona ai farmaci, il protezionismo di Trump minaccia interi settori produttivi e mette a rischio l’occupazione.
L’ennesimo giro di vite del presidente americano Donald Trump sui dazi rischia di trasformarsi in un terremoto per il mercato del lavoro italiano. Le nuove imposte sull’importazione di prodotti europei negli Stati Uniti – fino al 25% per la maggior parte delle merci e con picchi possibili del 200% per il vino – rappresentano una minaccia concreta per l’industria manifatturiera e agroalimentare italiana, con conseguenze dirette sull’occupazione.

Lavoratori in bilico: chi rischia di più
Dietro i numeri freddi delle esportazioni si nascondono migliaia di lavoratori italiani, impiegati in settori chiave come l’agroalimentare, la moda, la farmaceutica e l’automotive. La Coldiretti lancia l’allarme: “Sono in gioco migliaia di posti di lavoro”. Il settore vitivinicolo è uno dei più esposti. Gli Stati Uniti sono il primo mercato per il vino italiano, con un giro d’affari da 1,9 miliardi di euro. Se i dazi venissero portati al 200%, come minacciato da Trump, l’esportazione potrebbe crollare fino all’80%, lasciando senza commesse decine di migliaia di addetti alla produzione, distribuzione e logistica.
Il comparto artigianale romagnolo è tra i più vulnerabili: “Con costi di produzione già elevati, i nostri prodotti rischiano di essere tagliati fuori dal mercato americano”, denuncia Laura Pedulli della Confederazione nazionale dell’artigianato.

L’illusione americana: da opportunità a beffa
Paradossale è la vicenda della finocchiona toscana, un salume che solo recentemente aveva ottenuto il via libera per l’esportazione negli USA. Il Consorzio di tutela stava festeggiando l’autorizzazione come un traguardo storico. Oggi, invece, si trova a dover affrontare un mercato chiuso a causa dei rincari imposti dai dazi. Una beffa che colpisce anche psicologicamente le imprese, le quali avevano investito risorse e personale per l’adeguamento agli standard richiesti dal mercato statunitense.

Moda, farmaceutica e meccanica: anche le grandi rischiano
L’onda d’urto dei dazi si estende ben oltre il cibo. Il settore della moda, da sempre simbolo del made in Italy, è sotto pressione: con rincari tra il 10% e il 20%, i consumatori americani potrebbero orientarsi verso prodotti alternativi. Una perdita stimata tra i 14 e i 24 miliardi di dollari per l’abbigliamento e tra 6,4 e 10,7 miliardi per le calzature. “Tutto il comparto è a rischio, dalle piccole imprese ai grandi brand”, afferma Claudia Sequi, presidente di Assopellettieri.
Nel settore farmaceutico, che da solo rappresenta il 39,9% dell’export toscano verso gli USA, i dazi potrebbero avere effetti a catena, sia in Italia – con tagli occupazionali – che negli Stati Uniti, dove potrebbero verificarsi carenze di medicinali e un aumento dei prezzi.
Reazioni e contromosse: l’industria si riorganizza
Alcune imprese stanno già valutando scelte drastiche. È il caso di Illy Caffè, che potrebbe trasferire parte della produzione negli Stati Uniti per evitare l’aggravio fiscale. Un’opzione che salverebbe l’accesso al mercato, ma rischia di svuotare di posti di lavoro il territorio italiano.
Altre aziende, invece, puntano su strategie di diversificazione. “Occorre guardare ad aree meno competitive degli USA, come Ohio, Indiana, Tennessee”, suggerisce Lucio Miranda, presidente di ExportUSA. In alternativa, si guarda al mercato europeo come ancora di salvezza. “L’Europa deve alzare gli stipendi e consumare di più”, afferma Roberto Bozzi, presidente di Confindustria Romagna.
Una crisi che può cambiare l’identità produttiva del Paese
I dazi di Trump sono molto più di una mossa geopolitica: rischiano di essere la miccia che innesca una trasformazione forzata nel mondo del lavoro italiano. La filiera agroalimentare, fiore all’occhiello dell’economia nazionale, potrebbe essere costretta a ridurre drasticamente la manodopera. Stessa sorte per i distretti del lusso e della farmaceutica, che negli ultimi anni avevano fatto del mercato americano una priorità.
In un Paese in cui molte imprese sono a conduzione familiare e dove le esportazioni rappresentano spesso l’unica fonte di crescita, ogni punto percentuale in meno equivale a famiglie in difficoltà, stabilimenti vuoti e territori che si svuotano di opportunità.
La guerra commerciale di Donald Trump non è solo un affare da salotti diplomatici. È una sfida concreta, che si gioca nelle cantine di Montalcino, nelle botteghe toscane, nei laboratori farmaceutici, e soprattutto nelle buste paga di migliaia di lavoratori italiani. L’export non è solo economia: è lavoro. E oggi quel lavoro è sotto attacco.
Fonte: today.it