Linus Torvalds, creatore di Linux, ha approvato qualche giorno fa una nuova e più completa terminologia per il codice del kernel Linux e la documentazione: vuole che il linguaggio sia più “politically correct”, senza parole e modi di dire che possano contenere tracce di razzismo più o meno celate.
Linux rinuncia a parole poco inclusive nel suo linguaggio
L’obiettivo principale è quello di eliminare i termini master/slave, così come “black list” e “white list“. Agli sviluppatori di Linux è stato chiesto pertanto di utilizzare nuove terminologie.
Le alternative proposte per master/slave sono:
- primary/secondary
- main/replica or subordinate
- initiator/target
- requester/responder
- controller/device
- host/worker or proxy
- leader/follower
- director/performer
Invece, per sostituire black/white list è stato proposto:
- denylist/allowlist
- blocklist/passlist
I nuovi termini devono essere usati per il nuovo codice sorgente scritto per il kernel Linux e la documentazione associata.
I vecchi termini, considerati ora inadeguati, saranno consentiti solo per il mantenimento del vecchio codice e della documentazione, o “quando si aggiorna il codice per un hardware esistente o per una specifica di protocollo che richiede tali termini”.
Il passaggio alla graduale eliminazione dei termini sopra citati è avvenuto grazie ad una proposta presentata il 4 luglio dal manutentore del kernel Linux Dan Williams ed approvata qualche giorno dal creatore di Linux.
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Una tendenza generale nella comunità tecnologica
Linux non è certo la prima community ad affrontare questo aspetto: molte aziende tecnologiche e progetti open-source hanno eliminato i riferimenti a termini razziali dal loro codice in favore di un linguaggio più neutrale e inclusivo.
Tra questi troviamo Twitter, GitHub, Microsoft, LinkedIn, Ansible, Red Hat, Splunk, Android, Go, MySQL, PHPUnit, Curl, OpenZFS, Rust, JP Morgan e altri.
La tendenza a voler creare un linguaggio più “politicamente corretto” è iniziata dopo le proteste di Black Lives Matter, scoppiate negli Stati Uniti in seguito alla morte di George Floyd lo scorso 25 maggio.
Alcuni membri della comunità tecnologica hanno criticato il movimento come un gesto di virtue signalling piuttosto che un’azione che aiuta a combattere il razzismo sistematico.
Tuttavia, da articoli pubblicati precedentemente su riviste accademiche è emerso che continuare a usare termini a sfondo razziale prolunga gli stereotipi razziali.