Una recente ricerca condotta da Adecco Group mostra come la maggior parte degli italiani sia favorevole all’adozione della settimana corta, ma solo a parità di stipendio.
Cos’è la settimana corta
La settimana corta è un recente esperimento che riduce la settimana lavorativa da 5 a 4 giorni. Si sono già fatti alcuni esperimenti a riguardo, di cui uno con risultati molto interessanti.
In Italia ancora non abbiamo adottato questa filosofia anche se ci sono alcune meritevoli menzioni da fare come Intesa Sanpaolo che ha introdotto su base volontaria la settimana corta di 4 giorni con 9 ore lavorative giornaliere.
Ma gli italiani sono disposti a lavorare un giorno in meno rinunciando al proprio stipendio?
I risultati della ricerca Global workforce of the future
6 lavoratori su 10 stanno cambiando lavoro per ottenere una maggior flessibilità. Questo dato è in aumento rispetto al 2021.
In particolare riguardo alla settimana di 4 giorni, solo il 42% dei lavoratori d’ufficio può effettivamente farvi richiesta. Pur essendo la flessibilità un punto fondamentale per la retention dei talenti, lo stipendio continua ad essere di vitale importanza.
Infatti, ben il 66% ha intenzione di adottare la settimana breve, ma solo a parità di stipendio (solo il 10% sarebbe disposto ad accettare una riduzione).
Altri dati emersi dal report
Nel report non si è parlato solo di settimana corta. Vediamo insieme gli altri principali argomenti trattati:
Contesto
Una dato molto rilevante che è emerso dal contesto del 2022 è che ben il 27% dei lavoratori a livello globale ha intenzione di dimettersi nei prossimi 12 mesi. Proprio per questo motivo non basta più puntare sull’acquisizione di nuovi talenti, ma bisogna fare più sforzi per tenere stretti quelli già assunti (talent retention).
Stipendio
Lo stipendio rimane il motivo principale per cui i lavoratori cambiano azienda. Proprio per questo uno degli strumenti più efficaci per rispondere alle dimissioni di massa è stato quello di aumentare la retribuzione. Ultimamente però sembra che la tendenza a dimettersi sia più dovuta ad altri fattori come:
- timore di burn out
- mancanza di flessibilità
- poca possibilità di avanzare di carriera
Le aziende dovrebbero valorizzare maggiormente le prestazioni dei lavoratori, anziché le ore che impiegano ogni settimana. Un maggior focus sulla retention invece che sull’acquisizione di nuovi talenti diventa fondamentale in questo periodo dove i lavoratori della generazione Z stanno seguendo il fenomeno delle Grandi Dimissioni.
Flessibilità
Oltre alla settimana breve, i lavoratori desiderano maggiore flessibilità oraria (decidere l’orario) e possibilità di smart working. In generale si desidere una maggiore gestione autonoma del proprio lavoro.
Avanzamento di carriera
Uno dei motivi principali per cui i lavoratori si licenziano è la mancanza di opportunità di crescita professionale. Solo 4 su 10 si ritengono soddisfatti delle prospettive future offerte dalla propria azienda e questo rappresenta un problema quando altre realtà possono offrire un’offerta lavorativa competitiva.
Un’altro problema è anche a livello comunicativo, quasi il 25% dei lavoratori non ha mai discusso con un superiore sulle possibilità future di carriera.
Salute mentale e benessere
Il 49% dei lavoratori teme il burnout, ma solo il 33% utilizza tutti i giorni di ferie. Questo porta al fenomeno del quiet quitting, ovvero per proteggere la propria salute mentale ci si distacca progressivamente sempre di più dal proprio lavoro. L’introduzione di programmi di welfare può aiutare il lavoratore a migliorare il proprio equilibrio lavoro/vita privata.
Quanto conta lo stipendio alla fine?
Il salario rimane il fattore di primaria importanza che spinge le persone a cambiare lavoro. La vera domanda è quanto lo stipendio influenzi quelle persone a rimanere nella stessa azienda. Può un aumento salariale colmare le problematiche del burnout e delle prospettive future di carriera?